Nel contesto lavorativo, quando un dipendente causa danni all’azienda, il datore di lavoro può chiedere un risarcimento. Ma questo implica necessariamente l’avvio di un’azione disciplinare? E se quest’ultima non è stata completata, può comunque essere chiesto il risarcimento? L’argomento è stato oggetto di numerose discussioni giuridiche, con l’ordinanza n. 27940/2023 della Corte di Cassazione che ha fornito alcuni chiarimenti fondamentali.

Cosa si intende per azione disciplinare?

L’azione disciplinare consiste nell’applicazione di sanzioni nei confronti di un lavoratore che ha commesso delle infrazioni, come previsto dall’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori. Questo processo implica la contestazione dell’infrazione al dipendente, il quale ha diritto di fornire delle giustificazioni. A seguito dell’esame delle giustificazioni, il datore di lavoro può decidere di irrogare una sanzione disciplinare.

Cosa si intende per azione risarcitoria?

L’azione risarcitoria, invece, ha lo scopo di ottenere un risarcimento da parte del lavoratore per i danni causati all’azienda a seguito di comportamenti negligenti o dolosi. La richiesta di risarcimento riguarda, quindi, il ristoro del danno patrimoniale subito dal datore di lavoro.

L’azione disciplinare è necessaria per il risarcimento?

Secondo l’ordinanza n. 27940/2023 della Corte di Cassazione, l’azione disciplinare e quella risarcitoria non sono necessariamente collegate. La Corte ha stabilito che, anche in assenza di un’azione disciplinare o nel caso in cui quest’ultima si concluda senza una sanzione, il datore di lavoro può comunque avviare un’azione risarcitoria. Questo perché le due azioni perseguono finalità differenti: l’azione disciplinare mira a sanzionare il comportamento del dipendente, mentre l’azione risarcitoria ha lo scopo di ristabilire l’equilibrio patrimoniale danneggiato.

In quali casi il datore di lavoro può chiedere il risarcimento?

Il datore di lavoro può avanzare una richiesta di risarcimento quando ritiene che il dipendente abbia causato un danno economico diretto. Non è necessario che il comportamento del dipendente sia stato sanzionato dal punto di vista disciplinare, purché vi sia prova del danno subito e del nesso causale con l’operato del lavoratore. La giurisprudenza ha più volte affermato che il datore di lavoro ha il diritto di chiedere un risarcimento anche se l’azione disciplinare non è stata espletata o si è conclusa senza provvedimenti.

Perché l’azione disciplinare può essere utile?

Sebbene non sia obbligatoria, l’azione disciplinare può risultare vantaggiosa per il datore di lavoro. In primo luogo, l’avvio della procedura prevista dall’art. 7 dello Statuto dei Lavoratori consente di contestare formalmente i fatti e raccogliere le giustificazioni del lavoratore, che potrebbero essere utili anche in un’eventuale azione legale per il risarcimento del danno. Inoltre, una sanzione disciplinare può rafforzare la posizione difensiva del datore di lavoro in sede giudiziale, evidenziando la gravità della condotta del dipendente.

Cosa prevede l’articolo 7 dello Statuto dei Lavoratori?

L’articolo 7 del Statuto dei Lavoratori regola la procedura disciplinare. Prevede che il datore di lavoro debba contestare per iscritto l’infrazione commessa dal dipendente e che quest’ultimo abbia cinque giorni di tempo per fornire le proprie giustificazioni. Solo dopo aver ascoltato le giustificazioni (o in assenza di queste) il datore di lavoro può decidere di applicare una sanzione disciplinare.

Quali sono i limiti alla richiesta di risarcimento?

La richiesta di risarcimento da parte del datore di lavoro deve rispettare alcuni criteri giuridici. Innanzitutto, il datore deve fornire la prova del danno subito e dimostrare che tale danno sia imputabile alla condotta del lavoratore. In mancanza di questi requisiti, l’azione risarcitoria potrebbe non avere successo. Inoltre, il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) applicato potrebbe prevedere ulteriori limitazioni o condizioni riguardanti l’azione risarcitoria.

Qual è la giurisprudenza recente in materia?

Diversi precedenti giurisprudenziali hanno stabilito che l’azione risarcitoria può essere intrapresa indipendentemente dall’esito della procedura disciplinare. Ad esempio, l’ordinanza n. 27940/2023 ribadisce che la coesistenza delle due azioni è possibile e che l’esistenza di fatti accertati, anche se non censurati disciplinarmente, può giustificare una richiesta di risarcimento.

Come prevenire contestazioni da parte del lavoratore?

Per evitare controversie legali o contestazioni da parte del lavoratore, è consigliabile che il datore di lavoro, oltre a richiedere il risarcimento, completi la procedura disciplinare prevista dallo Statuto dei Lavoratori. Questo rafforza la propria posizione in caso di un’eventuale causa legale. La contestazione disciplinare, infatti, permette al dipendente di esporre le proprie ragioni e al datore di raccogliere elementi utili per l’eventuale azione risarcitoria.

Cosa accade se il datore di lavoro non applica una sanzione disciplinare?

Se il datore di lavoro avvia la procedura disciplinare ma, dopo aver ricevuto le giustificazioni del lavoratore, decide di non applicare alcuna sanzione, il dipendente potrebbe sostenere che le giustificazioni siano state implicitamente accettate. In alcuni contratti collettivi, infatti, è previsto che, in caso di mancata applicazione di una sanzione, le giustificazioni si ritengano accolte. Pertanto, anche in questi casi, è fondamentale che il datore di lavoro agisca con precisione, soprattutto se intende chiedere un risarcimento.

Conclusione

In definitiva, la Corte di Cassazione ha chiarito che l’azione disciplinare e quella risarcitoria non sono interdipendenti. Tuttavia, per evitare possibili rischi legali, è consigliabile per il datore di lavoro avviare entrambe le procedure. In questo modo, si rafforza la legittimità della richiesta risarcitoria e si riducono le possibilità che il lavoratore possa contestare la pretesa del datore di lavoro.

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