Con sentenza n. 503 del gennaio 2023 la Cassazione è tornata ad affrontare il difficile bilanciamento, posto alla base del reato di diffamazione, tra diritto di cronaca e tutela della reputazione individuale. 

Traendo spunto da una particolare vicenda, la Corte di legittimità ha nuovamente chiamato in causa un canone ermeneutico utilizzato negli anni Novanta ovvero la percezione del lettore medio.

La vicenda posta alla base della decisione della Corte era la pubblicazione su un quotidiano on line di un articolo avente il seguente titolo: “M.M., il politico imputato per tangenti, scopre il business turistico. Ma debutta con una multa per abusivismo”.

Nel procedimento penale apertosi a seguito della denuncia querela presentata dal politico coinvolto, il Tribunale di Milano era giunto a una sentenza di condanna per il reato di diffamazione, aggravato dall’utilizzo del mezzo della stampa ex art. 595 comma 3 c.p., sia nei confronti dell’autore dell’articolo che del direttore della testata giornalistica, reo di aver omesso il dovuto controllo sul contenuto del pezzo. 

La connotazione diffamatoria dell’articolo di giornale, poi riconosciuta anche dai giudici del gravame, era contenuta nella frase “ma debutta con una multa per abusivismo”: tale espressione, infatti, era idonea a far sorgere nel lettore la convinzione che il politico fosse stato destinatario di una sanzione penale – quale la multa – per abusivismo edilizio. 

La sentenza di appello veniva impugnata in Cassazione e ivi stravolta. Alla base del ricorso congiunto tra l’autore dell’articolo incriminato e il direttore della testata giornalistica coinvolta vi erano diversi motivi, uno solo dei quali trovava accoglimento: l’erronea interpretazione del criterio del lettore medio utilizzato nell’accertamento del carattere diffamatorio dell’articolo contestato. Secondo la Cassazione infatti “deve escludersi il carattere diffamatorio di una pubblicazione quando essa sia incapace di ledere o mettere in pericolo l’altrui reputazione per la percezione che ne possa avere il lettore medioossia colui che non si fermi alla mera lettura del titolo e ad uno sguardo alle foto (lettore cd. “frettoloso”), ma esamini, senza particolare sforzo o arguzia, il testo dell’articolo e tutti gli altri elementi che concorrono a delineare il contesto della pubblicazione, quali l’immagine, l’occhiello, il sottotitolo e la didascalia”.

Il criterio del lettore medio orienta, ormai da tempo, la giurisprudenza nel giudizio di accertamento della responsabilità per il reato di diffamazione. Tale canone, infatti, rileva su due fronti: sul piano della tipicità del reato, cioè della sussistenza del carattere diffamatorio della frase (è diffamatoria quell’espressione che è idonea a far sorgere nel lettore medio un giudizio offensivo dell’altrui reputazione) e sul piano dell’antigiuridicità cioè nella valutazione della continenza espositiva quale scriminante, unitamente agli altri criteri della veridicità della notizia e della pertinenza, del fatto di reato.

Il diritto di cronaca, infatti, per poter scriminare una condotta di per sé antigiuridica – poiché lesiva dell’altrui reputazione – deve possedere tre precisi requisiti: la veridicità della notizia pubblicata, la pertinenza della stessa e dunque la sussistenza di un interesse pubblico a che questa sia conosciuta ed in ultimo, un linguaggio proporzionato al concetto da esprimere. 

Ciò posto, il significato di “lettore medio” è stato oggetto, ed è tutt’ora, di ampio dibattito: secondo un primo orientamento, il lettore medio è per definizione un lettore frettoloso, che non approfondisce il contenuto dell’articolo che si presta a leggere ma spesso si ferma al titolo. 

Diversamente altre pronunce, anch’esse recenti, sposano di fatto l’interpretazione accolta dalla pronuncia qui in esame ritenendo che non si possa qualificare come diffamatorio un articolo di giornale sulla base delle sole espressioni utilizzate nel titolo atteso che il lettore medio, per quanto possa non essere un lettore accorto e meticoloso, si dilunga in una lettura complessiva della pubblicazione.

Sulla scorta di detta interpretazione la Cassazione qui in esame ha annullato la sentenza di condanna della Corte d’Appello ritenendo che l’espressione “multa” associata ad “abusivismo”, utilizzata solamente nel titolo dell’articolo incriminato, è nota al lettore medio per evocare una sanzione meramente amministrativa e dunque non idonea a far sorgere nel lettore ordinario la convinzione che il politico in questione si sia reso responsabile di comportamenti penalmente rilevanti nel campo dell’abusivismo edilizio. 

Ciò premesso, la pronuncia della Cassazione esprime indubbiamente una posizione di forte tutela del diritto di cronaca non permettendo di perseguire penalmente meri titoli giornalistici che, se analizzati autonomamente, esprimono certamente una carica diffamatoria ma, se calati nel contesto dell’intero contenuto della pubblicazione, sono scevri di alcun intento offensivo.

La recente interpretazione del canone ermeneutico del lettore medio e il conseguente regime di tutela del diritto di cronaca, come osservato da parte della dottrina, omette di fare i conti con gli attuali canali di informazione.

Il lettore medio quale lettore non frettoloso ma che prende contezza dell’intera pubblicazione si confà alla realtà dei quotidiani cartacei ma difficilmente ai quotidiani online e ai social media, quali strumenti privilegiati al giorno d’oggi per la diffusione delle notizie. 

Invero, gli attuali canali di informazione hanno stravolto le modalità di circolazione delle notizie e di controllabilità delle fonti delle stesse. Ne deriva che anche l’apprensione di una notizia da parte un lettore ordinario avviene oggi con modalità molto più rapide ed essenziali: si pensi solo alla modalità con la quale sui social media la pubblicità di una notizia avviene tramite l’indicazione di un link che, solo se digitato, rimanda all’intero articolo. 

Le moderne modalità di comunicazione comportano, per la maggioranza dei lettori, una lettura meno approfondita e, dunque, rendono necessaria una rivalutazione dell’idoneità anche di un solo titolo di giornale ad integrare il reato di diffamazione. Per tali ragioni, nel giudizio di accertamento del reato di diffamazione, si richiede un’attenzione particolare e di gran lunga superiore rispetto ai quotidiani cartacei alle espressioni utilizzate nel titolo spesso fuorviante e in grado di suggestionare il lettore medio a una certa interpretazione dei fatti. 

Il contenuto diffamatorio non può più essere valutato solamente sulla base dei lettori “particolarmente attenti”, che si accingono a un’intera lettura dell’articolo del giornale ma va, al contrario, calibrata sull’attuale realtà dell’informazione ad oggi più immediata e superficiale.