A livello europeo è sempre maggiore l’impegno verso il raggiungimento della parità di genere non solo come obiettivo in termini sociali, ma anche occupazionali.

Nel marzo 2020 l’Unione Europea ha predisposto la “Strategia per la parità di genere 2020 – 2025” individuando una serie di obiettivi strategici per colmare in maniera significativa nei prossimi anni il gender gap. Tra gli interventi promossi, oltre a quelli finalizzati al superamento della violenza e degli stereotipi di genere, sono state previste misure specifiche per il mondo del lavoro, nel quale la disparità di trattamento tra uomini e donne costituisce un fenomeno preoccupante. L’obiettivo è quello di colmare l’ampio divario di genere nel mercato lavorativo, facendo fronte al problema del gap retributivo e pensionistico tra i due sessi, nonché incentivando la partecipazione delle donne nei processi decisionali delle imprese e nei consigli di amministrazione.

Nel solco tracciato a livello europeo si è inserita la “Strategia nazionale per la parità di genere” che ha posto l’ambizioso obiettivo, per il periodo 2021 – 2026, di rendere l’Italia un paese nel quale a ogni persona siano garantite le medesime opportunità, senza disparità di trattamento in ragione del genere, in linea con i paesi europei più virtuosi e dai quali il nostro è oggi, purtroppo, ben lontano.

Nonostante, infatti, nel nostro paese le donne siano mediamente più istruite, la partecipazione femminile al mercato del lavoro è significativamente inferiore a quella maschile e anche la condizione reddituale presenta un importante divario, probabilmente a causa di persistenti stereotipi e disequilibri nell’esercizio della funzione domestica e di cura che riducono il tasso di occupazione femminile e le prospettive di carriera.

Con il Pnrr (Piano nazionale di ripresa e resilienza) sono stati compiuti ulteriori passi, a livello nazionale, per scardinare queste condizioni di diseguaglianza e, nell’ambito della missione 5, la parità di genere è stata confermata come un obiettivo prioritario da raggiungere attraverso una serie di interventi e investimenti a sostegno dell’occupazione e dell’imprenditoria femminile.

In attuazione di tali obiettivi il legislatore ha varato la Legge n. 162/2021 che ha introdotto significative modifiche al Codice delle Pari opportunità  (D.Lgs. 198/2006) e, in particolare, all’art. 25 ove sono state ampliate le nozioni di discriminazione diretta e indiretta.

Per quanto riguarda la discriminazione diretta – consistente nel pregiudizio o trattamento meno favorevole subito da un lavoratore, in ragione del sesso, rispetto a un altro in analoga situazione – sono state ampliate le fattispecie discriminatorie, includendo anche le condotte tenute nei confronti dei candidati e delle candidate in fase di selezione del personale.

Le fattispecie di discriminazione indiretta sono invece state innovate mediante il riferimento alle prassi di natura organizzativa, incidenti sulle condizioni e sul tempo del lavoro in ragione del sesso, che possano porre il lavoratore o la lavoratrice (il candidato o la candidata) in una posizione di svantaggio rispetto alla generalità degli altri lavoratori, ovvero possano limitare le opportunità di partecipazione alla vita o alle scelte aziendali o l’accesso ai meccanismi di avanzamento e di progressione nella carriera.

La novità più rilevante consiste però nell’aver fatto della trasparenza il caposaldo delle politiche antidiscriminatorie in ambito aziendale.

L’art. 3, modificativo dell’art. 46 del Codice delle Pari Opportunità, ha infatti introdotto l’obbligo, per le imprese con più di 50 dipendenti, di redigere un rapporto biennale sul personale, dando atto, tra le varie informazioni, del numero di lavoratori di sesso femminile e di sesso maschile occupati, delle differenze retributive, dell’inquadramento e dei processi di selezione.

L’aspetto più innovativo è stato previsto al successivo art. 46-bis del Codice delle Pari Opportunità, mediante l’introduzione della certificazione per la parità di genere (UNI/Pdr 125:2022) che, attraverso la valutazione concreta dei processi aziendali, garantisce la misurazione, in termini qualitativi e quantitativi, delle politiche positive per il raggiungimento del gender equality.

Per le imprese in possesso della certificazione è stato previsto un duplice sistema di premialità: da una parte l’esonero dal versamento dei contributi previdenziali, dall’altra un maggior punteggio d’offerta nelle procedure di affidamento dei contratti pubblici.

Intorno alla certificazione sulla parità di genere, negli ultimi mesi, è però sorto un acceso dibattito in quanto lo schema di decreto legislativo sul nuovo Codice degli appalti, all’esame del Parlamento, avrebbe eliminato il riferimento all’obbligo di certificazione, introducendo la mera facoltà per le stazioni appaltanti di prevedere meccanismi di premialità per una più generica parità di genere. Inoltre la certificazione UNI/Pdr 125 sarebbe citata come una delle certificazioni che consentono la riduzione delle garanzie da prestare per accedere agli appalti (peraltro con una riduzione della cauzione dall’attuale 30% al 20%).

Nello schema del nuovo Codice, dunque, il richiamo alla certificazione non è del tutto stato eliminato, ma è stato sostituito da più generici riferimenti alle pari opportunità generazionali, di genere e di inclusione lavorativa.

A prescindere dalle revisioni al Codice degli appalti e al sistema di premialità che verrà riconosciuto, restano enormi le potenzialità di questa certificazione, già oggi posseduta da centinaia di aziende che hanno creato un ambiente di lavoro in cui le donne possono accedere a reali opportunità di crescita pari a quelle degli uomini, godono di parità salariale e di mansioni e sono tutelate nella maternità.

Tale certificazione risulta dunque uno strumento di importante valorizzazione del ruolo della donna e di sensibilizzazione verso il problema della disparità di trattamento negli ambienti lavorativi e risponde positivamente alla sfida, fissata a livello globale nell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, di realizzare un cambiamento culturale e colmare nel prossimo futuro il divario di genere.