Il terzo comma dell’art. 406 del codice civile prevede la possibilità per i responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura della procedura di amministrazione, di proporre ricorso al Giudice Tutelare.

In particolare, la misura dell’amministrazione di sostegno è prevista dall’ordinamento giuridico italiano a tutela di soggetti che, a causa di una menomazione fisica o psichica (anche temporanea), necessitino di un supporto nella gestione dei propri interessi patrimoniali e personali e nello svolgimento delle attività quotidiane.

Le strutture sociosanitarie, quali le RSA, erogando servizi in favore di un’utenza fragile  composta da anziani over 65 affetti da comorbilità, ravvisano spesso per i propri utenti la necessità di nominare un amministratore di sostegno con il quale interfacciarsi per l’assunzione di decisioni – soprattutto di carattere sanitario – a tutela dell’utente, spesso incapace di intendere o volere o comunque compromesso nelle sue capacità intellettive.

Per tali ragioni, in passato le strutture hanno spesso adito le aule dei Tribunali italiani per ottenere, in favore dei propri ospiti residenti, la nomina di un amministratore di sostegno.

Sennonché, negli ultimi anni si sta assistendo al consolidamento di un orientamento giurisprudenziale, inizialmente seguito in alcun Regioni italiane e più controverso in altre (quali la Lombardia), volto ad escludere la legittimazione attiva degli enti privati – ancorché accreditati con la Regione e, dunque, erogatori di servizi socio sanitari per conto e in nome del SSR –, in quanto non rientranti nell’elencazione tassativa di cui al terzo comma dell’art. 406 c.c. che contemplerebbe unicamente gli enti pubblici.

Tale interpretazione, che appare totalmente estranea alla lettera dell’art. 406 c.c., secondo la giurisprudenza troverebbe il proprio fondamento nelle seguenti principali ragioni:

1) gli enti privati, per quanto accreditati in Regione, opererebbero sempre secondo logiche di profitto, con la conseguenza che non vi sarebbe mai la certezza che il ricorso per la nomina di un amministratore di sostegno sia effettivamente richiesto a tutela del soggetto vulnerabile e, dunque, sia finalizzato alla tutela pubblica dei diritti della persona, in assenza di qualsivoglia interesse economico da parte della struttura;

2) l’espressione “servizi sanitari e sociali” sarebbe riservata agli enti che operano in regime di servizio pubblico in quanto, diversamente opinando, vi potrebbe rientrare qualsiasi soggetto che opera nel settore della cura della persona causando un’indefinita estensione della facoltà di nomina di un ADS;

3) il fatto che le strutture socio sanitarie eroghino anche prestazioni sanitarie – ma per lo più residenziali e assistenziali – non implica in capo alle stesse la responsabilità della nomina di un ADS nei confronti dei  propri assistiti.

Sulla base di tali premesse, secondo la giurisprudenza le strutture dovrebbero richiedere l’intervento dei servizi sociali competenti per territorio,quali soggetti in grado di compiere una valutazione indipendente sulla condizione in cui versa la persona.

A fronte del consolidarsi di detto orientamento, che sta portando ormai al rigetto dei numerosi ricorsi presentati dalle strutture sociosanitarie private, si consiglia dunque di attivare fin da subito un’intensa rete con i servizi sociali, segnalando loro – per iscritto – la situazione e le ragioni che richiedono l’assunzione di una misura tutelante per i propri ospiti.

Non sono però infrequenti i casi in cui – a causa di lungaggini burocratiche o, persino, del rifiuto del servizio sociale di intervenire, in ragione del fatto che la struttura sarebbe meglio informata sui fatti – risulti difficile percorrere questa strada.

In tale situazione, qualora vi siano soprattutto ragioni sanitarie a fondamento della proposizione del ricorso (e non meramente legate alla gestione del patrimonio dell’ospite), potrà provarsi a ricorrere comunque al Giudice Tutelare fornendo prova scritta delle molteplici richieste e dei solleciti trasmessi ai Servizi Sociali, affinché sia il Giudice stesso ad invitare questi ultimi a prendere in carico la tutela della persona e a presentare, ove vi siano i presupposti, il ricorso per la nomina di un ADS.